Viviamo in un mondo scandito da immagini forti, in cui la lingua, se non evoca immagini altrettanto forti, rischia di perdere il suo valore espressivo.
Il testo è immagine, è paesaggio. Contesti in cui una lettura condotta secondo codici tradizionali porta a riconoscere solo frammentazione di segni, provocando nel fruitore mancanza di senso e disorientamento.
Il testo, immagine e paesaggio, inteso come sistema di segni, e la percezione e l'attribuzione di senso al testo così come a un'immagine e a un paesaggio. Siamo ormai continuamente esposti a diverse tipologie di fruitori per uno stesso testo, una stessa immagine, uno stesso paesaggio. E frammentazione, superficialità e zapping disorientano al pari di sequenze di parole, fotogrammi, non-sense e immagini virtualmente separate.
Molteplici e diverse anche le modalità percettive della fruizione, sempre più condizionata dalla dimensione tempo/velocità: il mosaico delle conoscenze, frammentazione del sapere, prevale sull’integrazione.
Alla luce di tutto ciò, viene naturale porsi la domanda: quanto conta il lavoro del traduttore?
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